Biografia
Sono Fausto Gimondi, e vivo tra la Brianza e le Cicladi. Sono un lombardo mediterraneo: una vita segnata da cambiamenti gestiti con dedizione, e da sogni inseguiti con una passione che, perlomeno, ha reso ogni avventura degna di nota.
I sogni più grandi, quelli dell’adolescenza: diventare un giocatore di basket professionista e un poeta. Il primo si è spento insieme al fallimento della squadra in cui militavo, la Pallacanestro “Xeros” Milano; il secondo ha subito un colpo fatale in una rissa di parole, una sfida di poesia sonora organizzata dalla rivista Frigidaire, al Rolling Stone di Milano. Uscii dal ring – sì, era un vero e proprio ring – sconfitto e ridotto all’umiltà.
Una disfatta che si trasformò in fortuna.
Decisi che la poesia e la letteratura era meglio studiarle, e che fosse bene farlo all’Università di Pavia. Mi laureai a metà degli anni Ottanta. Finì con la lode e una versione condensata della tesi pubblicata su una prestigiosa rivista di studi umanistici.
Poco prima avevo iniziato una collaborazione giornalistica con la RSI, la Radio della Svizzera Italiana, e con altre testate giornalistiche ticinesi.
Pendolavo tra Lombardia e Canton Ticino, scrivendo e parlando di libri e cultura italiana: ciò per cui avevo studiato, ciò che amavo.
Ma venne il momento della naja, la leva militare obbligatoria: un anno al servizio della patria.
Trovai il modo di spendere quell’anno vicino a casa e imparando qualcosa di utile. Tre mesi di corso a Roma, il resto a Milano: pompiere presso l’ufficio del comandante provinciale dei Vigili del Fuoco, un luminare della prevenzione incendi. È così che mi capitò di incontrare l’editore di una rivista che ospitava gli articoli del comandante.
«Sto cercando un redattore tuttofare. Uno che sappia scrivere, fare interviste, organizzare menabò, impaginare e preparare i file per la stampa» mi disse.
Non persi l’occasione, tacendo la mia ignoranza in fatto di menabò e impaginati. Pochi mesi dopo, una volta congedato, iniziai a lavorare per la rivista.
Facevo tutto da solo, come aveva chiesto l’editore. Dall’editing all’impaginazione.
Ci riuscii grazie a un Mac, un computer speciale, perché non era uno di quegli pc alieni con i quali avevo avuto a che fare per la tesi e per il mio lavoro radiofonico.
Il Mac parlava la mia lingua e mi spinse a sperimentare nuovi software. Così iniziai a scrivere ipertesti per divertimento e recensioni di programmi per la rivista Applicando.
La collaborazione diventò presto un lavoro a tempo pieno. Mollai la rivista pompieristica e, con qualche rimpianto in più, la radio, per dedicarmi a esplorare e raccontare i «nuovi media». Prima come caporedattore di Applicando, poi come direttore delle testate del Gruppo editoriale JCE dedicate al mondo dei pc.
Presto iniziarono i viaggi nella Silicon Valley, nel centro del futuro del mondo. Incontravo e intervistavo i nuovi eroi delle più grandi imprese tecnologiche: visionari appassionati e creatori di prodotti innovativi.
In California ci si trovava anche con altri italiani, altri pionieri del digitale. Si commentava entusiasti di quanto visto e sentito, e si cercava di riportare in Italia quel vento di novità.
Come accadde col maestrale del Web.
Era la primavera del 1995, quando uno di quei pionieri, Carlo Gualandri, parafrasando la famosa frase che Steve Jobs disse a John Sculley per convincerlo a lasciare il confortevole posto di CEO della Pepsi per prendere quello di Apple, mi telefonò: «Vuoi continuare a pubblicare riviste di carta o vuoi cambiare il mondo?».
A settembre salutai con un nodo alla gola gli amici delle redazioni JCE, il mitico editore Jacopo Castelfranchi, e passai a trovare i miei, nel tentativo di spiegare perché stavo abbandonando il certo per l’incerto.
Fu la svolta della mia vita.
Abbandonato il giornalismo cartaceo, ho sempre lavorato nel mondo digitale.
Ho partecipato alla creazione di Virgilio.it, per lungo tempo il principale sito internet italiano, di cui sono stato il direttore editoriale per sette anni.
Nella frenesia della bolla di internet della fine anni Novanta, mi sono trovato a dirigere diverse testate online e ho partecipato a vario titolo alle più promettenti start-up.
Il racconto di quegli anni meriterebbe più spazio, ma c’è chi lo ha già raccontato.
Dopo che Virgilio, nel 2002, cambiò pelle e famiglia, sono stato responsabile Cross-media Content di Telecom Italia Media: stavo ai piani alti di una delle più grandi aziende italiane, ma non facevo nulla di innovativo.
Sino al 2005. Un nuovo cambiamento.
Questa volta per partecipare alla fondazione di Gioco Digitale, la prima azienda italiana dedicata ai giochi online con vincite in denaro.
Passavo dai siti web al poker online. In comune c’era il fascino del pionierismo e la voglia di innovare un settore consolidato e fortemente regolamentato dallo Stato.
Nel mondo del gioco d’azzardo ho conosciuto persone di ogni sorta, interessi e ceto. Un’esperienza che mi è stata utile quando, tra investimenti e consulenze in start-up, ho deciso di inseguire un nuovo sogno e tornare alla passione per i libri. Questa volta mettendomi dalla parte dell’autore, per scrivere un romanzo.
È Fortuna criminale, il mio primo libro, un nuovo capitolo della mia vita.


